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lucrezio
Emanuele Greco
Created on January 10, 2021
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Transcript
Lucrezio e la religio
di Emanuele Greco
Il poeta e filosofo latino Tito Lucrezio Caro fu un grande seguace di Epicuro. Scrisse il 'De Rerum Natura' per diffondere tra l'aristocrazia romana i princìpi della filosofia epicurea, in particolare la fisica e l'etica.
Epicuro sosteneva la tesi secondo cui tutto ciò che esiste è corpo ed è formato da atomi che si muovono nel vuoto. Egli vede nella filosofia la via per raggiungere la felicità, pertanto fornisce all'uomo un quadrifarmaco per:
- liberare gli uomini dal timore degli dei, poichè, per via della loro natura beata, non si occupano delle faccende umane;
- liberare gli uomini dal timore della morte, affermando 'quando ci siamo noi, la morte non c'è; quando c'è la morte, non ci siamo noi';
- dimostrare la facile raggiungibilità del piacere;
- dimostrare la lontananza del male, cioè la brevità e provvisorietà del dolore.
Nel primo libro del 'De Rerum Natura' Lucrezio elogia Epicuro e lo dipinge come l'eroe che sfida gli dei per portare la verità all'uomo liberandolo dal mostro della religio e superstitio. Sottolinea, inoltre, il primato del filosofo greco, indicato come primus euretés, attraverso il poliptoto di 'primum' e l'epifora di 'contra' nei versi 66-67.
Il poeta,attraverso la dottrina epicurea,vuole liberare l'uomo dalle paure create dalla religio stessa dimostrando che dopo la morte non c'è un'aldilà in quanto la morte è la disgregazione del corpo e dell'anima.
'primum Graius homo mortalis tollere contra est oculos ausus primusque obsistere contra'
Successivamente Lucrezio difende la dottrina epicurea dalle accuse di empietà. Esso spiega che, mentre l'ateismo di Epicuro non può portare a nessun crimine, la religione tradizionale è la causa di molte morti ed errori. In tal caso ricorda il mito di Ifigenia, la quale venne uccisa dal padre Agamennone per volontà di Artemide.
Lucrezio descrive solo i momenti precedenti al sacrificio, raccontando l'avvenimento attraverso gli occhi di Ifigenia che vedono Agamennone che si avvicina all'altare. L'episodio si conclude con la frase 'tantum religio potuit suadere malorum'.
'Cui simul infula virgineos circum data comptus ex utraque pari malarum parte profusast, et maestum simul ante aras adstare parentem sensit et hunc propter ferrum celare ministros aspectuque suo lacrimas effundere civis, muta metu terram genibus summissa petebat.'
L'empietà della religio è particolarmente riconoscibile in questa scena in quanto la volontà della dea spezza i vincoli affettivi. Lucrezio dunque vuole invitare il lettore a non temere dell'empietà epicurea e ad allontanarsi dalla religione tradizionale, ergendo Epicuro a strenuo oppositore della tradizione.
Il 'De Rerum Natura' si conclude con l'evento storico della peste di Atene del V secolo. Lucrezio dunque al termine dell'opera ribadisce l'estraneità degli dei dagli eventi terrestri, in particolare dai fenomeni metereologici e dai morbi, dando una spiegazione fisica e razionale.
Gli ateniesi collegarono l'epidemia ad una punizione divina e cercarono la salvezza nei templi, dove, pardossalmente, trovavano la morte.
'Omnia denique sancta deum delubra replerat corporibus mors exanimis onerataque passim cuncta cadaveribus caelestum templa manebant, hospitibus loca quae complerant aedituentes'
Lucrezio dimostra così quanto possa essere inutile e, soprattutto, deleterio appellarsi ad una divinità durante una tragedia, poiché non è causata dalla divinità, bensì dall'addensamento casuale di atomi nocivi.
Il poeta descrive l'avvenimento anche da un punto di vista psicologico e sociale; gli uomini persero il senso di umanità, compirono ogni tipo di empietà: lo scenario mostratoci è quello di un'Atene in cui le persone si uccidono per seppellire i cadaveri. L'anafora di multa, le allitterazioni, gli enjambemant amplificano la drammaticità della scena. Il degrado portò addirittura le persone a calpestare quella religio tradizionale, la quale né riesce a spaventare l'uomo né lo conforta.
Multaque [res] subita et paupertas horrida suasit; namque suos consanguineos aliena rogorum insuper extructa ingenti clamore locabant subdebantque faces, multo cum sanguine saepe rixantes, potius quam corpora desererentur.
Nec iam religio divom nec numina magni pendebantur enim: praesens dolor exsuperabat. nec mos ille sepulturae remanebat in urbe, quo prius hic populus semper consuerat humari; perturbatus enim totus trepidabat et unus quisque suum pro re [cognatum] maestus humabat.
Non si sa con certezza se è questa la vera conclusione che Lucrezio voleva dare all'opera, in ogni caso la peste di Atene conclude perfettamente il discorso, rappresentando appieno quello che l'epicureismo combatte. Per di più, con la peste di Atene, Lucrezio conclude un cerchio perfetto: l'opera si apre con l'elogio di Epicuro e della sua patria, Atene, e si conclude con la peste.
Il poeta conferma infine l'impotenza dell'uomo di fronte alla forza della natura, che essa sia positiva, come nell'inno a Venere, o negativa. L'intento di Lucrezio, come già detto, è portare alla luce la vera natura delle cose, in sostanza è la divulgazione della conoscenza, l'unica arma che l'uomo ha per comprendere la natura liberandosi dell'oscurantismo e della superstizione
Fine